THE SOCIAL DILEMMA: SIAMO NOI IL PRODOTTO?

THE SOCIAL DILEMMA: SIAMO NOI IL PRODOTTO?

di Michele Mereu

Molti di voi avranno visto o avranno sentito parlare del documentario The Social Dilemma su Netflix. Ma di cosa parla il documentario?
The Social Dilemma racconta tra interviste e fiction quali siano le conseguenze negative dei social network sulla nostra vita e come un errato utilizzo di questi sistemi ci esponga ad una vita troppo influenzabile dal web. Un problema per noi e per la società contemporanea.

La tesi del documentario si basa sul fatto che le grandi piattaforme di social media abbiano dato vita ad “un internet” che ha lo scopo di vincolare le persone allo smartphone, una dipendenza di cui gli inserzionisti traggono un vantaggio pagando per il tempo delle persone all’interno di sistemi sempre più efficaci e organizzati. The Social Dilemma divulga delle importanti riflessioni, soprattutto sul tema riguardante le conseguenze politiche e sociali. Google e Facebook sono naturalmente le piattaforme digitali più citate, difatti i protagonisti intervistati hanno fatto parte della rivoluzione digitale mondiale degli anni 2000, quando il Web 2.0 nacque. Oggi protagonisti come Jaron Lanier (inventore della tecnologia della Realtà Virtuale) o Roger McNamee (tra i primi investitori di Facebook) hanno un atteggiamento critico nei confronti dei concetti che ruotano attorno alla tecnologia moderna.

THE SOCIAL DILEMMA – IL DOCUMENTARIO

La struttura del documentario è suddivisibile in 5 capitoli.


Il primo capitolo prende ispirazione dalla citazione di Sofocle “Nulla che sia grande entra nella vita dei mortali senza una maledizione”, in questo capitolo si parla di come è il mondo tech contemporaneo, affrontando le tematiche legate all’economia basata sull’attenzione che si richiede all’utente, fino alla sorveglianza, la centralità dei dati e algoritmi.

Il secondo capitolo invece introduce il growth hacking e sull’efficacia di sistemi manipolatori che innescano il rilascio di dopamina del cervello, questo accade spesso nell’uso delle tecnologie, come ad esempio quando acquistiamo qualcosa su Amazon o riceviamo un messaggio che aspettavamo da una persona. Questo capitolo si ispira alla citazione di Artur C. Clarke “Ogni tecnologia sufficientemente sofisticata è indistinguibile dalla magia”.

Il terzo capitolo parte dalla citazione di Edward Tufte: “Solo due settori chiamano i propri clienti “users”: le droghe illegali e il software”. In questo capitolo vengono introdotti i temi riguardanti la dipendenza da social media, sia per adulti che per adolescenti, e si approfondisce la modalità con cui questa dipendenza viene creata attraverso sistemi di Intelligenza Artificiale.

Il penultimo capitolo fa riferimento a The Truman Show: “Perché Truman non mette in dubbio ciò che gli accade?” “Perché noi accettiamo la realtà del mondo come ci si presenta. È semplicissimo”. Molto importante questa parte per comprendere come i sistemi creino intorno a noi una “filter bubble”, creata dagli algoritmi dei social netwkor che, in base a come noi interagiamo, decidono cosa farci vedere, importante perché queste conseguenze sociali influenzano cospirazioni, fake news, populismo e in definitiva rischiano di creare una crisi della democrazia.

Il quinto capitolo si ispira alla citazione di Buckminster Fuller “Se sarà utopia o oblio lo deciderà una gara a staffetta fino all’ultimo minuto”, con lo scopo di imbastire una critica al modello imprenditoriale distorto, quello basato sul come generare attenzione e sul tracciare ogni singola azione e definisce quelle che potrebbero essere le soluzioni, principalmente legate alla regolamentazione, alla privacy e a come definire dei parametri sulla raccolta indiscriminata dei dati.

UNA TECNOLOGIA PER GLI UMANI

Il regista, Jeff Orlowski, famoso documentarista, sceglie come protagonista e voce principale Tristan Harris, ex Google Design Ethicist e presidente del Center for Human Technology. Ex membro del team Gmail, puntualizza il fatto che nel suo lavoro nessuno ragionava su come la progettazione di Gmail avrebbe poi influito sulla dipendenza dalla stessa. Come in gran parte del documentario si parla infatti di come nello sviluppo di un sistema digitale il focus sia sempre su come convincere l’utente a fare un’azione senza preoccuparsi di quali conseguenze quell’azione avrà su di lui. Se ci pensate questo è il filo conduttore di chiunque lavori nel web nei settori di sviluppo e marketing. Il nostro lavoro si basa su fare in modo che l’utente compia una determinata azione. Proprio per questo è nato il Center for Human Technology, per approfondire queste tematiche e per individuare un nuovo percorso di fruizione della tecnologia che non sia focalizzata solo sul subire passivamente ma su fare in modo che sia un’esperienza attiva e che non ci alieni dalla vita reale, quella che ognuno di noi vive al di fuori dei propri sistemi digitali e tecnologici. Per quanto il nostro lavoro sia all’interno del web dobbiamo sempre ricordarci di stare all’aria aperta e vivere la nostra vita anche offline.

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